Sono passati più di 50 anni dallo scatto della foto qui sopra, ho realizzato molte cose, qualche progetto, anche qualche sogno; mi sono sbizzarrito e divertito in tanti modi, abbracciando attività le più disparate, molte delle quali ho abbandonato, lasciato andare come le avevo incontrate.
Solo una mi segue da sempre, in certi anni come un’ombra, attualmente come presenza costante… il fermodellismo.
Certo all’inizio di questa avventura il termine era appena stato coniato e, sinceramente, nella sua attuale accezione, neanche era adattabile ai miei esperimenti di “plasticista, plasticaro, plasticante”.
Come sia nata la passione è un mistero, per me come per tanti altri; quando questo sia successo lo faccio risalire ad un periodo antecedente lo scatto, scatto fatto da mio padre con il quale condividevo pomeriggi ferroviari e successivamente pomeriggi di arte fotografica; il mio ricordo va ad una struttura della quale vedevo solo le zampe di appoggio, ma sopra ben sapevo che “c’erano i trenini”.
Neanche mio padre sa come sia nata la sua passione per i modelli in scala, ma possiamo fissare un momento, un primo input che fa riferimento ad una ferrovia completamente realizzata da suo cugino, ancor prima che fossero disponibili sul mercato sistemi e modelli degni di nota.
Questa sorta di ereditarietà sembra aver saltato una generazione, per cui i miei figli non sembrano essere toccati dal sacro fuoco “ferroviario”. Qualcuno, spero, prima o poi raccoglierà il testimone, ma anche così non fosse… nessun rimpianto.
Il piacere del viaggio in treno, l’odore della ferrovia, soprattutto quella di una volta, il creosoto delle traversine in legno, l’intreccio dei binari in stazione, le vecchie e scomode carrozze, il castano-isabella e il grigio nebbia e verde magnolia, le E.424, le E.636, gli ETR, le Corbellini e le Centoporte stimolavano la mia fantasia e mi facevano sognare sui manuali dei tracciati, sui cataloghi. Per molto tempo ogni Natale, ogni compleanno erano occasioni per ricevere l’agognato regalo, un modello, un accessorio, o soldi per acquistarli.
Dal primo tracciato sopra una tavola di truciolare, ai successivi e traballanti ampliamenti, recuperando materiali, costruendo con quello che trovavo, fino ad oggi il percorso è stato bello e immaginifico, zeppo di errori e incongruenze, sempre io comunque pronto a rubare una idea, a fare e disfare, senza fermarsi, alzando sempre l’assicella. Questa è stato ed è per me il vero divertimento, appagamento e passione.
Il primo “plastico” era gestito da un programmatore per lavatrici, recuperato da uno smantellamento casalingo, il plastico successivo da un Olivetti M20 e da un hardware di collegamento fatto in casa, quello attuale… guardatevi il sistema digitale, così non mi dilungo. Efficienze diverse, tempi diversi, stessa meraviglia ai miei occhi.
E quando succede che incontri un bimbo, più o meno della stessa età di quello in foto, che ha lo stesso sguardo meravigliato di fronte a un plastico, che non perde occasione per farsi accompagnare a vedere “i treni veri”, che desidera un plastico e solo quello come regalo… allora capisci che la passione non ha età e che l’eredità la si può donare con uno sguardo.
Ringrazio mio padre per avermi donato la sua, la mia famiglia per sopportare e supportare le mie stranezze, gli amici che mi hanno aiutato e incoraggiato quando avevo rinunciato e tutti coloro che mi sostengono e mi incoraggiano tutt’ora.
Giulio Cesare Barberini