Capita che ci si possa appassionare nella vita,
capita che ci si possa innamorare della “ferrovia”,
che questa diventi una parte della propria vita.
Capita che si diventi “ferroviere” e “macchinista”,
che ci si imbratti “col carbone”, e solo per passione,
che, spalando spalando, si incontrino persone e storie.
Capita che ci si diletti nello scrivere,
con acutezza e ironia come bene riesce ai “maremmani”.
Tutto ciò capita al mio amico Simone detto “L’Vschi”,
che oltre a “giocare coi trenini” gli garba di divertirsi anche “coi treni quelli veri”.
Ed ecco che dalla sua penna esce uno spaccato di storia, di società, di sudore e polvere, di miseria quotidiana e di ricchezza d’animo…
con una sorpresa finale!!!
Leggete e gustatevelo così come ho fatto io!
Oggi ho fatto un treno a vapore in Val d’Orcia, e la sosta dei partecipanti era prevista nella stazione di Torrenieri-Montalcino, e quindi vi racconterò di questo vecchino che dopo pranzo si è avvicinato lemme lemme al treno e, vedendo gente all’opera, si è fermato un po’ a chiacchiera’.
Quest’omino, per farvela breve, è stato Capostazione di Torrenieri dal 1948 al 1962.
Per essere precisi, ebbe la nomina il 21 agosto 1948, giorno dell’attentato a Togliatti, e non fece in tempo a mettersi a sedere alla sua scrivania che subito irruppero le squadre rosse imponendo l’abbandono del posto di lavoro a tutti i ferrovieri.
Lui, comunista, provò a esplicitare le sue perplessità sull’opportunità di abbandonare la “sua” stazione poche ore dopo averne preso possesso, ma il suo “Compagni, però così non va bene, abbiate pazienza…” non suscitò sufficiente empatia nei cuori dei dimostranti, che lo accompagnarono all’uscio picchettando la stazione.
Un inizio di carriera davvero discreto, non c’è che dire.
Tornata – per così dire – la calma, il signor Capostazione di Torrenieri, secondo nelle gerarchie di paese solo al Sindaco e (forse) al prete, era colui che sovrintendeva a tutto il lavorìo, dalla manovra del treno al carico e scarico delle merci, e alle sue dipendenze era tutto il personale ferroviario durante il disbrigo di queste operazioni.
Uno dei servizi peculiari di quel periodo era il “misto” da e per Grosseto, cioè un treno che, per economizzare, prevedeva in composizione sia un paio di carrozze passeggeri sia svariati carri merci.
Arrivava la mattina e, dopo aver scaricato e caricato nuovamente merci e passeggeri, ripartiva per Grosseto nel pomeriggio.
Spesso, mi ha raccontato quest’omino, gli ultimi due o tre carri erano adibiti al trasporto degli animali, perché era molto pratico far retrocedere tutto il treno sul binario tronco dove si trovavano piano caricatore e mandriolo (cioè una specie di tondino coperto riservato perlopiù a maiali e vacche) senza dover agganciare o sganciare nulla.
Queste bestie viaggiavano nei già famigerati carri bestiame, che avevano come unico arredo interno un tappeto di fieno o paglia.
Insomma dicevo del Capostazione di Torrenieri: fino a quel momento questo signore aveva parlato di cose che tutto sommato sapevo già, perché insomma non è che faccio questi servizi in val d’Orcia perché mi ci porta la piena, ecco, digiamolo.
Però, se è vero che la storia della linea bene o male la possono studiare e imparare tutti, sentirsela raccontare da chi l’ha vista minuto per minuto è tutto un altro paio di maniche, e infatti quest’omino, con una lucidità e una freschezza davvero incredibili, ha cominciato a snocciolare nomi e cognomi dei macchinisti e dei capitreno di Grosseto che frequentavano la linea in quei giorni.
Questa storia dei nomi e cognomi ricordatevela, perché tornerà buona in seguito.
Il fatto è che nell’immediato dopoguerra Torrenieri si era ritrovata ad essere stazione di testa perché, mentre la tratta a sud verso la Maremma era stata rattoppata alla bell’e meglio, le opere d’arte, i ponti e le gallerie verso Asciano erano state devastate da bombardamenti e mitragliamenti: nessun collegamento ferroviario con la val d’Arbia e Siena.
Ecco perché il “misto” da e per Grosseto era diventato il treno più importante della linea: per tutte le aziende agricole e manifatturiere, il treno era rimasto l’unico modo di spedire prodotti e merci.
C’era tanta miseria, e l’arrivo del treno da Grosseto era l’avvenimento del giorno per tutti quelli che per i più svariati motivi gravitavano intorno alla stazione, che è a tutt’oggi nel mezzo del paese. O meglio, è il paese che si è sviluppato intorno alla stazione, come spesso succede.
Bisognerebbe ricordarlo a quelle menti luminosissime che preferirebbero una bella ciclabile al posto delle rotaie, e con questo direi di chiudere la polemica con questi cretini.
Ma in quei giorni grami, come raccontava il Capostazione di Torrenieri, non si vendevano solo merci e prodotti: ognuno cercava di vivacchiare vendendo quel che poteva vendere, senza esclusione di colpi, e quindi c’era chi provava a piazzare tre o quattro forme di formaggio, chi portava dei fagotti di panni e tessuti, chi vendeva pollame, miele, insaccati e così via.
E ogni tanto c’era anche qualche povera donnetta che, non potendo vendere nient’altro, scendeva dal treno per vendere se stessa.
Ora questo non deve scandalizzare più di tanto, perché la faccenda era risaputa, ampiamente tollerata e soprattutto legale, nel contesto dell’epoca.
È una delle conseguenze più amare della guerra e della miseria di quei tempi, ma do per scontato che chi legge sappia aver misura.
Tra i ferrovieri, però, questo genere di presenze non era visto di buon occhio, perché già l’arrivo del treno calamitava in stazione parecchia gente, e fare manovra avanti e indietro con tutta questa confusione era complicato e pericoloso.
Se poi si fosse sparsa la voce che c’era anche quest’altra “attrazione” si rischiava davvero di farci buio, e il servizio a vapore era già abbastanza impegnativo anche a cose normali.
Si aggiunga che queste povere professioniste dell’amore, non avendo a disposizione un’alcova in cui professare, diciamo, col tempo pretesero di esercitare direttamente sui carri approfittando della paglia distesa sul pavimento, per risparmiare tempo e guadagnare l’opportuna riservatezza necessaria per il disbrigo di quelle faccende.
Era davvero una pretesa eccessiva, perché diventava davvero sconveniente che il personale delle ferrovie si rendesse così sfacciatamente partecipe di questo mercimonio.
E poi, insomma: già c’erano le spose che aspettavano il marito, già c’erano contadini e commercianti in giro sui marciapiedi, già c’erano i ragazzini che si radunavano intorno alla locomotiva a vapore, i facchini addetti al carico e allo scarico in fila in attesa che il personale della gestione merci smarcasse il collettame, quelli col calesse, gli operai delle ditte lì intorno…la stazione era una bolgia e passavano delle ore prima di aver finito di svolgere il servizio.
Però insomma…per i maiali si doveva fare manovra apposta, per i fusti della ditta Crocchi si doveva fare manovra apposta, per i pulcini del consorzio agrario si doveva fare manovra apposta, per la farina del mulino si doveva fare manovra apposta e un bel giorno un macchinista di Grosseto si stancò dei continui perditempo dovuti a tutto questo affollamento, prese la situazione in mano e decise che invece di assistere impotenti al circospetto assalto al carro dell’amore, si poteva fare manovra apposta anche per queste donnette, per Dio!
Ricorrendo a toni piuttosto risoluti, perché a quei tempi il servizio era una cosa seria e seguiva una prassi rigidissima e inderogabile, si impose sul capostazione, sull’altro personale di stazione e decise di lasciare questo famigerato carro in fondo al secondo binario, quello per gli incroci (che però non c’erano perché la linea era interrotta) in modo che se la vedessero loro appartandosi un po’ più lontano da occhi indiscreti, e soprattutto in modo da finire la manovra alla svelta per poter finalmente sorseggiare un meritato bicchiere di Brunello al ristoro di stazione.
Se lo ricorda ancora benissimo questo macchinista, il Capostazione di Torrenieri: si chiamava Oscar Luschi, macchinista di 1^ classe del deposito di Grosseto, capostipite della famiglia Luschi in ferrovia.
E io, giuro, di questa storia fino a ieri non ne sapevo niente.
Però, ora che la so, domenica prossima in val d’Orcia ci vado più volentieri!”
Simone “L’Vschi”
Commovente e interessantissimo al contempo…dovrebbe far riflettere chi continua a inserire commenti del tipo “..che bei tempi…” avessero provato a viverli non la penserebbero così.. P.S.: non è che questo, assieme ad altri resoconti della vita in ferrovia di altri tempi sii potrebbero raccogliere un un volume? Credo avrebbe discreto successo…
Ad averne….