ricordi in viaggio

Ricordi in viaggio

Girovagando fra i Social Network alle volte, raramente invero, capita di imbattersi in qualcosa di interessante.
Questo brano di Claudio Scibona è un caleidoscopio di immagini che descrivono un viaggio, un lungo viaggio che si ripete, che abbraccia l’intera penisola da nord a sud e viceversa, che ci parla di vita e di radici, che fonde e mescola realtà per certi versi opposte. Delicato, a volte struggente nella sua narrazione, Claudio ci parla di ferrovia, di libertà, di volti, di paesaggi e di amore per la terra natia.
 

Anche se non parla direttamente di fermodellismo e l’immagine non ritrae uno dei nostri meravigliosi modellini, vorrei condividere con voi questo mio pensiero scritto qualche anno fa, perché credo che alla fine a molti di noi la voglia di posare il primo binario sia nata da una storia simile alla mia.

Fin da piccolo, ho avuto una passione quasi viscerale con i treni. Sebbene essi viaggino su binari predefiniti e non possano mai svariare, la sensazione di libertà che mi da il viaggiare su di essi non la provo con nessun altro mezzo di locomozione. Perfino il camper, che è il mezzo che per antonomasia ti da la libertà di andare dove vuoi, non mi regala le stesse sensazioni in viaggio. Sarà perché, anche quando non guido io, sto sempre più attento alla strada che ad altro, ma è come se mi godessi il viaggio a metà. Col treno è tutta un’altra storia. Ti siedi al finestrino e viaggi due volte. Una per arrivare a destinazione e l’altra per andare con la mente dietro a un fiore visto di sfuggita e agitato dal vento del passaggio del treno. E poi sul treno puoi conoscere sempre gente nuova, con un carico di bagagli pieni di passato e futuro, entrambi da raccontare, mentre il presente non è più un punto fermo della nostra vita ma un passaggio da ciò che si era a ciò che si sarà. Storie condivise, magari già sentite, di gente che dice di scappare dalla propria terra ma che in realtà non vede l’ora di tornare. Poco importa se da vincitore o da perdente: basta che si torni. E chissà quante storie avrebbe da raccontare la carrozza ritratta in questa foto, se solo i suoi scomparti potessero parlare. Chissà quanti viaggi avrà fatto e quante destinazioni avrà toccato nei suoi circa trent’anni di servizio.

Ogni viaggio cento storie diverse. E intanto, pensando a tutte le volte che ho viaggiato io su carrozze come quelle, per tornare poi sempre al punto di origine, a volte da vincente e a volte da sconfitto, il treno mi fa viaggiare ancora una volta, stavolta nel tempo, a quando c’era molta più voglia di viaggiare che di arrivare. Quando bastava portarsi appresso un mazzo di carte da scopa per passare le ore del viaggio in bella compagnia. E nei miei viaggi di ore da passare ne avevo tante. Palermo – Pontebba (UD) tutta in treno. Due destinazioni diametralmente opposte in tutto ciò che possono opporsi. Si prendeva il mitico Freccia della Laguna per poi cambiare con due regionali a Mestre e poi a Udine, fino ad arrivare in quel paesino della Carnia da dove poi iniziava la mia avventura invernale. E pensare che questa traversata dello stivale la compivo quando già la gente aveva scoperto i voli low cost e cominciava ad avere più voglia di arrivare che di viaggiare.

Perché le persone sono così: se gli dai il tutto e subito dimenticano sempre tutto quello che ci sta in mezzo.

Nel mio mezzo ci sono state le tante volte che ho suonato una chitarra, anche se ero da solo; le tante volte che il treno veniva imbarcato sul traghetto a Messina e che ad ogni imbarco aspettavo nella stiva che il traghetto si staccasse dalla terraferma e sembrava che fosse il porto ad allontanarsi da me, come se mi tirassero via un pezzo del mio essere. Una volta chiuso il boccaporto d’imbarco, come il sipario che cala sulla scena finale, andavo su al bar, compravo l’ultima arancina che avrei potuto mangiare fino a quando non sarei forse tornato, bevevo un caffè e andavo a respirare l’ultima aria di mare della mia terra. E lì riconoscevi sempre chi partiva per lavoro o chi per semplice vacanza. Questi ultimi erano sempre i più sorridenti ed estasiati dallo spettacolo meraviglioso che solo lo stretto di Messina offre. Noi altri eravamo più silenziosi e contemplativi, con lo sguardo sempre rivolto in avanti, anche quando incontravamo quella meraviglia per la prima volta. Pensavamo a cosa ci aspettasse oltre quella striscia di mare, senza volersi mai voltare a guardare cosa lasciavamo a casa, altrimenti molti di noi saremmo saltati giù dal traghetto e saremmo tornati a nuoto, fottendocene altamente di quanto ingiusta sia questa nostra terra di Sicilia. Questo lo so per certo perché io non dormivo quasi mai la notte in treno, anche se avevo a disposizione la mia cuccetta per dormire, e ad un certo punto pensavo sempre che ormai era troppo tardi per tornare indietro. Nessuno me lo ha mai detto apertamente, ma penso di non essere stato l’unico a farsi frullare in testa pensieri simili. Lo avranno pensato buona parte di quei “terroni” che hanno contribuito a fare grande il nord Italia, perché qui da noi lavoro non ce n’era più. Allora si prendeva una carrozza come quella che vedete nella foto, sempre che ce la si potesse permettere, con una valigia di cartone legata con lo spago sotto braccio, un pezzo di pane e cacio nei tasconi del cappotto e si andava a cercare lavoro, dovunque ce ne fosse. C’è chi non è più tornato, se non per le vacanze, e c’è chi non ha resistito alla lontananza di questa terra bella e maledetta ed è tornato.

Io a Palermo ci sono tornato tante volte e tutte le volte che ci sono tornato in treno, il viaggio di ritorno era sempre meno doloroso di quando andavo via da casa.

Claudio Scibona

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