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Nasce il nostro nuovo brand

In quasi tre lustri abbiamo accumulato esperienze, capacità, assimilato tecniche di progettazione e costruzione, ci siamo divertiti…

Ora si è deciso di mettere a disposizione di altri modellisti tutto ciò, creando un marchio apposito e iniziando a proporre qualche modello di nostra esclusiva progettazione e realizzazione; ci piace dire “made in Umbria“, identificandoci in una dimensione regionale e, soprattutto, decisamente artigianale.

Kreality sarà la nostra piccola grande sfida quotidiana, ma anche soddisfazione e divertimento.

Per il momento date uno sguardo al nostro (ancora) piccolissimo catalogo e dateci il vostro parere…
vai al al catalogo Kreality

Ricordi in viaggio

Girovagando fra i Social Network alle volte, raramente invero, capita di imbattersi in qualcosa di interessante.
Questo brano di Claudio Scibona è un caleidoscopio di immagini che descrivono un viaggio, un lungo viaggio che si ripete, che abbraccia l’intera penisola da nord a sud e viceversa, che ci parla di vita e di radici, che fonde e mescola realtà per certi versi opposte. Delicato, a volte struggente nella sua narrazione, Claudio ci parla di ferrovia, di libertà, di volti, di paesaggi e di amore per la terra natia.
 

Anche se non parla direttamente di fermodellismo e l’immagine non ritrae uno dei nostri meravigliosi modellini, vorrei condividere con voi questo mio pensiero scritto qualche anno fa, perché credo che alla fine a molti di noi la voglia di posare il primo binario sia nata da una storia simile alla mia.

Fin da piccolo, ho avuto una passione quasi viscerale con i treni. Sebbene essi viaggino su binari predefiniti e non possano mai svariare, la sensazione di libertà che mi da il viaggiare su di essi non la provo con nessun altro mezzo di locomozione. Perfino il camper, che è il mezzo che per antonomasia ti da la libertà di andare dove vuoi, non mi regala le stesse sensazioni in viaggio. Sarà perché, anche quando non guido io, sto sempre più attento alla strada che ad altro, ma è come se mi godessi il viaggio a metà. Col treno è tutta un’altra storia. Ti siedi al finestrino e viaggi due volte. Una per arrivare a destinazione e l’altra per andare con la mente dietro a un fiore visto di sfuggita e agitato dal vento del passaggio del treno. E poi sul treno puoi conoscere sempre gente nuova, con un carico di bagagli pieni di passato e futuro, entrambi da raccontare, mentre il presente non è più un punto fermo della nostra vita ma un passaggio da ciò che si era a ciò che si sarà. Storie condivise, magari già sentite, di gente che dice di scappare dalla propria terra ma che in realtà non vede l’ora di tornare. Poco importa se da vincitore o da perdente: basta che si torni. E chissà quante storie avrebbe da raccontare la carrozza ritratta in questa foto, se solo i suoi scomparti potessero parlare. Chissà quanti viaggi avrà fatto e quante destinazioni avrà toccato nei suoi circa trent’anni di servizio.

Ogni viaggio cento storie diverse. E intanto, pensando a tutte le volte che ho viaggiato io su carrozze come quelle, per tornare poi sempre al punto di origine, a volte da vincente e a volte da sconfitto, il treno mi fa viaggiare ancora una volta, stavolta nel tempo, a quando c’era molta più voglia di viaggiare che di arrivare. Quando bastava portarsi appresso un mazzo di carte da scopa per passare le ore del viaggio in bella compagnia. E nei miei viaggi di ore da passare ne avevo tante. Palermo – Pontebba (UD) tutta in treno. Due destinazioni diametralmente opposte in tutto ciò che possono opporsi. Si prendeva il mitico Freccia della Laguna per poi cambiare con due regionali a Mestre e poi a Udine, fino ad arrivare in quel paesino della Carnia da dove poi iniziava la mia avventura invernale. E pensare che questa traversata dello stivale la compivo quando già la gente aveva scoperto i voli low cost e cominciava ad avere più voglia di arrivare che di viaggiare.

Perché le persone sono così: se gli dai il tutto e subito dimenticano sempre tutto quello che ci sta in mezzo.

Nel mio mezzo ci sono state le tante volte che ho suonato una chitarra, anche se ero da solo; le tante volte che il treno veniva imbarcato sul traghetto a Messina e che ad ogni imbarco aspettavo nella stiva che il traghetto si staccasse dalla terraferma e sembrava che fosse il porto ad allontanarsi da me, come se mi tirassero via un pezzo del mio essere. Una volta chiuso il boccaporto d’imbarco, come il sipario che cala sulla scena finale, andavo su al bar, compravo l’ultima arancina che avrei potuto mangiare fino a quando non sarei forse tornato, bevevo un caffè e andavo a respirare l’ultima aria di mare della mia terra. E lì riconoscevi sempre chi partiva per lavoro o chi per semplice vacanza. Questi ultimi erano sempre i più sorridenti ed estasiati dallo spettacolo meraviglioso che solo lo stretto di Messina offre. Noi altri eravamo più silenziosi e contemplativi, con lo sguardo sempre rivolto in avanti, anche quando incontravamo quella meraviglia per la prima volta. Pensavamo a cosa ci aspettasse oltre quella striscia di mare, senza volersi mai voltare a guardare cosa lasciavamo a casa, altrimenti molti di noi saremmo saltati giù dal traghetto e saremmo tornati a nuoto, fottendocene altamente di quanto ingiusta sia questa nostra terra di Sicilia. Questo lo so per certo perché io non dormivo quasi mai la notte in treno, anche se avevo a disposizione la mia cuccetta per dormire, e ad un certo punto pensavo sempre che ormai era troppo tardi per tornare indietro. Nessuno me lo ha mai detto apertamente, ma penso di non essere stato l’unico a farsi frullare in testa pensieri simili. Lo avranno pensato buona parte di quei “terroni” che hanno contribuito a fare grande il nord Italia, perché qui da noi lavoro non ce n’era più. Allora si prendeva una carrozza come quella che vedete nella foto, sempre che ce la si potesse permettere, con una valigia di cartone legata con lo spago sotto braccio, un pezzo di pane e cacio nei tasconi del cappotto e si andava a cercare lavoro, dovunque ce ne fosse. C’è chi non è più tornato, se non per le vacanze, e c’è chi non ha resistito alla lontananza di questa terra bella e maledetta ed è tornato.

Io a Palermo ci sono tornato tante volte e tutte le volte che ci sono tornato in treno, il viaggio di ritorno era sempre meno doloroso di quando andavo via da casa.

Claudio Scibona

Dieci anni di Fondazione FS

Roma, 7 marzo 2023 – La Fondazione FS compie dieci anni. Era infatti il 6 marzo 2013 quando, a Villa Patrizi a Roma, i tre AD di Trenitalia, RFI e Holding Ferrovie dello Stato siglavano l’atto costitutivo di quella che oggi è conosciuta anche dal grande pubblico come la Fondazione delle Ferrovie dello Stato. Il Direttore Generale, ing. Luigi Cantamessa, ci illustra in un breve video la nascita e lo sviluppo di questi 10 anni.
da Blog tuttoTRENO

 

Le Manifeste du Dixième Art

É sta una affermazione coraggiosa che mi sento di condividere.
Era il 2000 quando Jacques Le Plat pubblicò il manifesto, riporto qui la versione originale e sotto la sua traduzione, senza aggiungere null’altro, ché non ve ne è bisogno.

Giulio Barberini


Manifeste du Dixième Art

Les trains transportent les êtres et les choses. Mais en dehors de cet aspect utilitaire, ils peuvent aussi être porteurs d’émotions. Depuis plus d’un siècle, des artistes de toutes disciplines l’ont pris comme sujet ou comme cadre de leurs oeuvres. C’est que le chemin de fer a été une entreprise humaine considérable sur tous les plans : technique, économique, politique et social. Les artistes nourrissent leur fièvre des préoccupations de leurs contemporains. Ils ne pouvaient donc manquer de s’inspirer aussi du monde ferroviaire. Cela nous a valu quantité de chefs d’oeuvre sur ce thème dans la peinture, la musique, la littérature, la poésie, le théatre et le cinéma.

Aujourd’hui, le train miniature véhicule à son tour l’émotion. A côté des circuits d’enfants et des installations purement techniques, des réseaux se multiplient qui font revivre avec sensibilité l’atmosphère d’un lieu et d’une époque. A travers ces tableaux en trois dimensions, leurs auteurs cherchent à transmettre leur interprétation personnelle d’une réalité qui les a marqués. Et en suscitant l’émotion du spectateur , ils font véritablement oeuvre d’art. Un art qui n’est pas tout à fait de la peinture, ni de la sculpture, ni du théatre (bien que les trains puissent être mis en scène comme des acteurs et jouer un scénario parfaitement orchestré). Un art, cependant, qui procède un peu des trois et qui mérite d’être reconnu, tant certaines de ses manifestations en sont dignes.

J’ai proposé de l’appeler ” le dixième ” , vu que les rangs précédents sont tous occupés. D’autres ferromodélistes européens adoptent maintenant cette appellation qui inscrit le train miniature dans le courant de l’art ferroviaire en général. En cette matière, le train miniature possède d’ailleurs une qualité propre : alors que le grand chemin de fer demeure avant tout un moyen de transport, y compris dans ses participations à l’art, le train miniature, lui, ne peut tirer sa substance que du rêve et de la passion, les matériaux de l’art par excellence . Cela doit bien lui valoir d’être célébré comme un acteur culturel à part entière !

Jacques Le Plat
Bruxelles, le 12 mars 2000


Manifesto della Decima Arte

I treni trasportano le persone e le cose, ma oltre a questo aspetto funzionale, possono anche trasmettere emozioni. Per più di un secolo, artisti di tutte le discipline l’hanno utilizzato come soggetto o come cornice per le loro opere. La ferrovia è stata un grande motore per l’umanità sotto molti aspetti: tecnico, economico, politico e sociale. Gli artisti hanno sempre trovato stimolo e creatività dal presente, dal sociale. Non potevano quindi non ispirarsi anche al mondo ferroviario. Questo ci ha donato una serie di capolavori su questo tema nella pittura, nella musica, nella letteratura, nella poesia, nel teatro e nel cinema.

Oggi il treno in miniatura trasmette a sua volta emozione. Accanto a circuiti per bambini e installazioni prettamente tecniche, si moltiplicano installazioni che fanno rivivere con sensibilità l’atmosfera di un luogo e di un’epoca. Attraverso questi dipinti tridimensionali, i loro autori cercano di trasmettere la loro personale interpretazione di una realtà che li ha colpiti. E suscitando l’emozione dello spettatore queste creazioni sono davvero un’opera d’arte. Un’arte che non è propriamente pittura, né scultura, né teatro (anche se i treni possono essere messi in scena come attori e recitare uno scenario perfettamente orchestrato). Un’arte, però, che deriva un po’ da tutte e tre e che merita di essere riconosciuta, come ne sono degne alcune sue manifestazioni.

Ho proposto di chiamarla “la decima”, visto che le file precedenti sono tutte occupate. Altri modellisti ferroviari europei stanno ora adottando questo nome, che colloca il treno in miniatura nella corrente principale dell’arte ferroviaria in generale. In questa materia, anche il esso ha una sua qualità: mentre la grande ferrovia rimane soprattutto un mezzo di trasporto, anche nella sua partecipazione all’arte, il treno in miniatura, dal canto suo, non può che trarre la sua essenza da sogni e passione, i materiali d’arte per eccellenza. Questo ci invita a celebrarlo come elemento di cultura a sé stante!

Jacques Le Plat
Bruxelles, 12 marzo 2000

Affollamento!

É quello che spesso si vede nelle immagini di plastici pubblicate un po’ ovunque. Non se ne abbiano coloro che si sentono chiamati in causa, e tantomeno gli autori dell’installazione nell’immagine qui sopra, la mia non vuole essere denigrazione, ma critica constatazione.

Cosa voglio intendere? Presto detto… il principale problema del modellismo ferroviario, dalla scala H0 in su è lo spazio. Alle volte, anzi spesso, a quanto mi pare di percepire, se ne ha veramente poco a disposizione. Qualcuno non si dà per vinto e sfrutta comunque quello che ha. Sì ma come?
Succede che piovano dal cielo come polpette (cit.) binari in ordine sparso, tronchini, piattaforme, rimesse tipo Milano smistamento, il tutto condito con caseggiati bordo ferrovia, giostre, supermercati, campi di calcetto, strade la cui pendenza sfida la legge di gravità, montagne con profilo da brivido che invoglierebbero qualunque climber ad accettare la sfida, pendii alpini che si tuffano in mare… vabbè, la smetto.

In tutto ciò ci si dimentica dell’elemento fondamentale, la vera protagonista, la ferrovia, non facciamola fagocitare dal paesaggio; anche in poco spazio si può realizzare qualcosa di memorabile, il Maestro Silvio Assi docet, compratevi la monografia pubblicata dalla DueGi e rifatevi gli occhi; sembra una installazione imponente, ma vi assicuro che lo spazio che occupa è molto ridotto, condensato, ma sicuramente armonico.

E poi, alla fine, basta osservare la realtà, farsi un viaggio in treno, per percepire che intorno a noi, fuori dal finestrino, il più delle volte c’è solo la natura, i campi, i boschi; per fare qualcosa di armonico è necessario uscire dal vortice dell’immaginazione, dall’irrefrenabile voglia di mettere in 3 metri quadri tutto ciò che ci affascina della ferrovia.

Il mio consiglio, guardate la realtà e prendetene una fetta, come fosse una torta, il resto lasciatelo all’immaginazione dello spettatore.

Giulio Barberini

E sono 13!

Un numero ritenuto fortunato.
Ebbene sì… sono trascorsi 13 anni dall’apertura di questo sito, un luogo che era stato concepito per divenire punto di aggregazione, discussione, esposizione, riferimento per i cultori, appassionati e estimatori del modellismo ferroviario, ma soprattutto uno spazio di condivisione. Non so se il fine sia stato raggiunto, se il messaggio sia stato chiaro, ma mi ritengo comunque soddisfatto e spero che abbiate gradito il mio lavoro.

Tredici anni possono sembrare tanti, e possono scoraggiare chi approccia questo sito per avere qualche dritta su come iniziare la costruzione di un plastico. A questo proposito voglio sottrarre alla cifra quattro anni, periodo che mi ha visto assorbito completamente dalla gestione del marchio AKA Models, e voglio anche svelare un piccolo segreto…

Tutti gli articoli qui presenti sono scritti in prima persona plurale; con ciò ho voluto includere tutto il nucleo familiare, un po’ con la speranza che la prole potesse partecipare e un po’ per premiare la pazienza di tutti nel sopportare le mie manie, le mie assenze.. e anche le mie spese extra per il plastico! A parte qualche fugace apparizione di mio figlio Giovanni, risalente a diversi anni fa (ora la sua vita lo vede impegnato in tutt’altre faccende :)) e qualche aiuto esterno al nucleo che mi ha permesso di adeguare e migliorare la stanza che ospita l’installazione, prendo spunto per ringraziare commosso il mio compianto e grandissimo amico Sandro, tutto il lavoro è stato svolto esclusivamente da me in prima persona; stante ciò e inevitabilmente i tempi si sono notevolmente allungati. Non scoraggiatevi, quindi. D’altronde il vero divertimento spesso è nella costruzione, per la quale la fretta non è mai contemplata; indugiare sui dettagli può essere considerato maniacale, ma i risultati che si ottengono danno grande soddisfazione. Magari per la costruzione del vostro impianto impiegherete meno tempo e mi piace pensare che i suggerimenti qui forniti ve ne facciano risparmiare un po’.

Un nuovo anno inizia, potrebbe essere quello che mi porterà alla conclusione dei lavori, forse sì, forse no. Una cosa è certa, continuerò la mia opera di divulgazione anche dopo il completamento dell’installazione che sto portando avanti; magari studierò qualcosa di nuovo, forse mi dedicherò all’esplorazione di nuovi ambiti, chissà!

Nel frattempo auguro a tutti voi un sereno 2023, sperando che i miei contributi possano darvi momenti di spensieratezza in questo triste momento storico.

Giulio Barberini

Il signor Capostazione di Torrenieri

Capita che ci si possa appassionare nella vita,
capita che ci si possa innamorare della “ferrovia”,
che questa diventi una parte della propria vita.

Capita che si diventi “ferroviere” e “macchinista”,
che ci si imbratti “col carbone”, e solo per passione,
che, spalando spalando, si incontrino persone e storie.

Capita che ci si diletti nello scrivere,
con acutezza e ironia come bene riesce ai “maremmani”.

Tutto ciò capita al mio amico Simone detto “L’Vschi”,
che oltre a “giocare coi trenini” gli garba di divertirsi anche “coi treni quelli veri”.

Ed ecco che dalla sua penna esce uno spaccato di storia, di società, di sudore e polvere, di miseria quotidiana e di ricchezza d’animo…
con una sorpresa finale!!!

Leggete e gustatevelo così come ho fatto io!

Oggi ho fatto un treno a vapore in Val d’Orcia, e la sosta dei partecipanti era prevista nella stazione di Torrenieri-Montalcino, e quindi vi racconterò di questo vecchino che dopo pranzo si è avvicinato lemme lemme al treno e, vedendo gente all’opera, si è fermato un po’ a chiacchiera’.
Quest’omino, per farvela breve, è stato Capostazione di Torrenieri dal 1948 al 1962.
Per essere precisi, ebbe la nomina il 21 agosto 1948, giorno dell’attentato a Togliatti, e non fece in tempo a mettersi a sedere alla sua scrivania che subito irruppero le squadre rosse imponendo l’abbandono del posto di lavoro a tutti i ferrovieri.
Lui, comunista, provò a esplicitare le sue perplessità sull’opportunità di abbandonare la “sua” stazione poche ore dopo averne preso possesso, ma il suo “Compagni, però così non va bene, abbiate pazienza…” non suscitò sufficiente empatia nei cuori dei dimostranti, che lo accompagnarono all’uscio picchettando la stazione.
Un inizio di carriera davvero discreto, non c’è che dire.
Tornata – per così dire – la calma, il signor Capostazione di Torrenieri, secondo nelle gerarchie di paese solo al Sindaco e (forse) al prete, era colui che sovrintendeva a tutto il lavorìo, dalla manovra del treno al carico e scarico delle merci, e alle sue dipendenze era tutto il personale ferroviario durante il disbrigo di queste operazioni.
Uno dei servizi peculiari di quel periodo era il “misto” da e per Grosseto, cioè un treno che, per economizzare, prevedeva in composizione sia un paio di carrozze passeggeri sia svariati carri merci.
Arrivava la mattina e, dopo aver scaricato e caricato nuovamente merci e passeggeri, ripartiva per Grosseto nel pomeriggio.
Spesso, mi ha raccontato quest’omino, gli ultimi due o tre carri erano adibiti al trasporto degli animali, perché era molto pratico far retrocedere tutto il treno sul binario tronco dove si trovavano piano caricatore e mandriolo (cioè una specie di tondino coperto riservato perlopiù a maiali e vacche) senza dover agganciare o sganciare nulla.
Queste bestie viaggiavano nei già famigerati carri bestiame, che avevano come unico arredo interno un tappeto di fieno o paglia.
Insomma dicevo del Capostazione di Torrenieri: fino a quel momento questo signore aveva parlato di cose che tutto sommato sapevo già, perché insomma non è che faccio questi servizi in val d’Orcia perché mi ci porta la piena, ecco, digiamolo.
Però, se è vero che la storia della linea bene o male la possono studiare e imparare tutti, sentirsela raccontare da chi l’ha vista minuto per minuto è tutto un altro paio di maniche, e infatti quest’omino, con una lucidità e una freschezza davvero incredibili, ha cominciato a snocciolare nomi e cognomi dei macchinisti e dei capitreno di Grosseto che frequentavano la linea in quei giorni.
Questa storia dei nomi e cognomi ricordatevela, perché tornerà buona in seguito.
Il fatto è che nell’immediato dopoguerra Torrenieri si era ritrovata ad essere stazione di testa perché, mentre la tratta a sud verso la Maremma era stata rattoppata alla bell’e meglio, le opere d’arte, i ponti e le gallerie verso Asciano erano state devastate da bombardamenti e mitragliamenti: nessun collegamento ferroviario con la val d’Arbia e Siena.
Ecco perché il “misto” da e per Grosseto era diventato il treno più importante della linea: per tutte le aziende agricole e manifatturiere, il treno era rimasto l’unico modo di spedire prodotti e merci.
C’era tanta miseria, e l’arrivo del treno da Grosseto era l’avvenimento del giorno per tutti quelli che per i più svariati motivi gravitavano intorno alla stazione, che è a tutt’oggi nel mezzo del paese. O meglio, è il paese che si è sviluppato intorno alla stazione, come spesso succede.
Bisognerebbe ricordarlo a quelle menti luminosissime che preferirebbero una bella ciclabile al posto delle rotaie, e con questo direi di chiudere la polemica con questi cretini.
Ma in quei giorni grami, come raccontava il Capostazione di Torrenieri, non si vendevano solo merci e prodotti: ognuno cercava di vivacchiare vendendo quel che poteva vendere, senza esclusione di colpi, e quindi c’era chi provava a piazzare tre o quattro forme di formaggio, chi portava dei fagotti di panni e tessuti, chi vendeva pollame, miele, insaccati e così via.
E ogni tanto c’era anche qualche povera donnetta che, non potendo vendere nient’altro, scendeva dal treno per vendere se stessa.
Ora questo non deve scandalizzare più di tanto, perché la faccenda era risaputa, ampiamente tollerata e soprattutto legale, nel contesto dell’epoca.
È una delle conseguenze più amare della guerra e della miseria di quei tempi, ma do per scontato che chi legge sappia aver misura.
Tra i ferrovieri, però, questo genere di presenze non era visto di buon occhio, perché già l’arrivo del treno calamitava in stazione parecchia gente, e fare manovra avanti e indietro con tutta questa confusione era complicato e pericoloso.
Se poi si fosse sparsa la voce che c’era anche quest’altra “attrazione” si rischiava davvero di farci buio, e il servizio a vapore era già abbastanza impegnativo anche a cose normali.
Si aggiunga che queste povere professioniste dell’amore, non avendo a disposizione un’alcova in cui professare, diciamo, col tempo pretesero di esercitare direttamente sui carri approfittando della paglia distesa sul pavimento, per risparmiare tempo e guadagnare l’opportuna riservatezza necessaria per il disbrigo di quelle faccende.
Era davvero una pretesa eccessiva, perché diventava davvero sconveniente che il personale delle ferrovie si rendesse così sfacciatamente partecipe di questo mercimonio.
E poi, insomma: già c’erano le spose che aspettavano il marito, già c’erano contadini e commercianti in giro sui marciapiedi, già c’erano i ragazzini che si radunavano intorno alla locomotiva a vapore, i facchini addetti al carico e allo scarico in fila in attesa che il personale della gestione merci smarcasse il collettame, quelli col calesse, gli operai delle ditte lì intorno…la stazione era una bolgia e passavano delle ore prima di aver finito di svolgere il servizio.
Però insomma…per i maiali si doveva fare manovra apposta, per i fusti della ditta Crocchi si doveva fare manovra apposta, per i pulcini del consorzio agrario si doveva fare manovra apposta, per la farina del mulino si doveva fare manovra apposta e un bel giorno un macchinista di Grosseto si stancò dei continui perditempo dovuti a tutto questo affollamento, prese la situazione in mano e decise che invece di assistere impotenti al circospetto assalto al carro dell’amore, si poteva fare manovra apposta anche per queste donnette, per Dio!
Ricorrendo a toni piuttosto risoluti, perché a quei tempi il servizio era una cosa seria e seguiva una prassi rigidissima e inderogabile, si impose sul capostazione, sull’altro personale di stazione e decise di lasciare questo famigerato carro in fondo al secondo binario, quello per gli incroci (che però non c’erano perché la linea era interrotta) in modo che se la vedessero loro appartandosi un po’ più lontano da occhi indiscreti, e soprattutto in modo da finire la manovra alla svelta per poter finalmente sorseggiare un meritato bicchiere di Brunello al ristoro di stazione.
Se lo ricorda ancora benissimo questo macchinista, il Capostazione di Torrenieri: si chiamava Oscar Luschi, macchinista di 1^ classe del deposito di Grosseto, capostipite della famiglia Luschi in ferrovia.
E io, giuro, di questa storia fino a ieri non ne sapevo niente.
Però, ora che la so, domenica prossima in val d’Orcia ci vado più volentieri!”


Simone “L’Vschi”



Jmri – Una opzione economica per la gestione dei decoder

Come specificato nella sezione “Sistema digitale” la nostra scelta per il controllo del plastico è ricaduta su Traincontroller.
In verità esistono molti altri software freeware in rete. Uno di questi è JMRI, non solo un software, ma un intero progetto open source con moltissime “features” e in continuo sviluppo.
Il suo utilizzo per la gestione di un plastico non è però agevole, mentre la sezione dedicata alle gestione dei decoder è invece molto interessante.

Abbiamo deciso di sperimentarlo unitamente ad un dispositivo che funge da centrale DCC, SPROG II

SPROG II
SPROG II

Si presenta come una scatoletta di minime dimensioni che da un lato presenta un connettore per l’alimentazione in entrata e il segnale DCC in uscita, dall’altro una porta USB per il collegamento al PC. Abbiamo collegato l’uscita DCC ad uno spezzone di binario e l’ingresso a un alimentatore 12V DC.
L’installazione del software JMRI è rapida e indolore, è richiesto Java 11 o superiore per la release 5.0; una volta installato si hanno diverse opzioni di menù; a noi interessa Decoder PRO

All’apertura del programma dobbiamo selezionare la nostra centrale, in questo caso il nostro SPROG e scegliere la porta di connessione.

Configurazione Decoder PRO
Configurazione Decoder PRO

A connessione avvenuta possiamo selezionare marca e modello del decoder che vogliamo gestire. Per il nostro esempio scegliamo un ESU Loksound 5; possiamo già qui inserire il nome della loco e il suo indirizzo primario.

Decoder PRO - selezione del decoder
Decoder PRO – selezione del decoder

Salviamo ed otteniamo la prima voce nel rooster.

Decoder PRO - elenco locomotive
Decoder PRO – elenco locomotive

cliccando sulla riga apriamo la pagina dei settaggi che espone le seguenti funzionalità:

Decoder PRO - funzionalità
Decoder PRO – funzionalità

Una delle sezioni primarie è sicuramente la configurazione del motore. La pagina risulta precaricata con i valori standard indicati dal produttore del decoder. Noi facciamo comunque uno scan di verifica cliccando su “Leggi pagina completa“.

Decoder PRO - pagina del settaggio del motore
Decoder PRO – pagina del settaggio del motore

Possiamo notare i parametri relativi al fattore di accelerazione e decelerazione, nonché il valore di PWM, da modificare, se necessario, per adattare il decoder al tipo di motore. Le altre voci riguardano il controllo di carico… non apriamo qui la complessa discussione.

Altro TAB utile è la lista delle CVs. Anche qui si può eseguire uno scan completo delle variabili e, se necessario, intervenire sui valori da modificare, tramite i tasti a lato oppure con il pulsante “Scrivi modifiche sulla pagina“.

Altri TAB permettono di assegnare i tasti funzione alle uscite fisiche e logiche del decoder, regolare le luci e tante altre cose. Quello che troviamo di estrema utilità è la configurazione del fader dei suoni, altrimenti decisamente complessa agendo sulle singole CVs che lo controllano. La necessità è attenuare il volume del sound quando la loco entra in galleria o è comunque nascosta alla vista. Troviamo il settaggio nella pagina Suoni.

Decoder PRO - fader del suono
Decoder PRO – fader del suono

Possiamo qui agire sul volume primario, sul volume minimo e sul tempo di attenuazione. Molto utile e semplice!
Oltre a questo è possibile gestire graficamente qualunque suono.

Decoder PRO ci fornisce anche il modo di testare la nostra configurazione con un pannello di comando simile ad un palmare. Ricordiamo che abbiamo collegato l’uscita DCC ad un binario di prova, siamo quindi liberi di testare il funzionamento della loco.

Decoder PRO - palmare
Decoder PRO – palmare

Notiamo anche un’ altro interessante aspetto.
Mano a mano stiamo dotando le nostre loco di “Power pack” e abbiamo constatato che tale modifica influisce negativamente sulla programmazione dei decoder tramite la centrale Intellibox; in particolare la programmazione risulta essere impossibile, anzi la centrale va in corto.

Power pack su ACME E464
Power pack su ACME E464

Utilizzando invece il software JMRI la programmazione fila via liscia… Buono a sapersi.

Abbiamo investito una modica somma (58£) per ottenere ottimi risultati in termini di praticità. Tutti i valori settati vengono memorizzati e possono essere riutilizzati in caso di sostituzione del decoder con uno analogo. In definitiva un ottimo prodotto ad un prezzo contenuto.

Trovate il software su https://www.jmri.org/download/index.shtml e il programmatore su https://www.sprog-dcc.co.uk/

Qualificato o inqualificabile?

Quando il secondo termine si può applicare a chi si propone come il primo divento poco tollerante!

Come mai me ne esco con questa foga? Presto detto; ho speso con gioia molto del mio tempo libero per cercare di essere di aiuto, attraverso queste pagine, nei social e anche personalmente in più di una fiera specializzata (vedi workshop “Corretto Tracciato” e “Trainmaster”), a coloro che si approcciavano al mondo del modellismo ferroviario, secondo la logica che un buon consiglio da parte di chi ha già commesso errori e ha imparato da essi può essere utile e far risparmiare anche qualche soldo.

Proprio così, perché farla semplice in un settore del modellismo che, per centimetro cubo, è il più dispendioso che ci sia, non è corretto.
Quando si vuol costruire un plastico partendo da “zero” e bene sapere che l’impegno sarà lungo, economicamente rilevante e che ogni errore lo si paga a caro prezzo.

La “lobby” del “l’importante è che ci si diverta” è fuorviante, i lavori che ne escono approssimati, la soddisfazione.. beh, quella dopo qualche tempo  svanisce. É vero che “ogni scarrafone è bello a mamma sua”, ma di esecuzioni lasciate alla polvere o mai terminate ne ho viste molte.

E quando mi imbatto in canali video dove alcune regole di base vengono trattate con approssimazione o, addirittura, si garantisce che possono tranquillamente essere disattese, “tanto poi funziona comunque”, mi chiedo se ho buttato via il mio tempo.

Nella fattispecie, senza far nomi né link, quando si asserisce che i nostri trenini potranno affrontare tranquillamente rampe (in curva) con pendenze fino al 4% tirandosi dietro, cito “anche una cinquantina di carri” si sta portando lo “spettatore” su una brutta china, quella china che poi dovranno affrontare i modelli pensando che, siccome le sale degli stessi sono gommate, il concetto di “aderenza naturale” possa essere tranquillamente dimenticato, insomma una “inqualificabile”, opinabile opinione sparata sul web e che ha raggiunto, colpito e affondato più di un benintenzionato, ingenuo fermodellista “in erba”.

Caro divulgatore di tecniche e calcoli discutibili,
 
avrei avuto piacere di iniziare un confronto, ma credo tu abbia ritenuto che non fossi qualificato. No… non mi sono indignato perché hai cancellato il mio pacato e, ritengo, cortese commento, cosa che fai con tutti i commenti che non elogino il tuo “vulgus”, proprio no, era scontato come le mozzarelle in scadenza.
Ma non ho resistito a dire comunque la mia, visto che di “rampe” ed “elicoidali” ne ho realizzati svariati, i primi sbagliandoli, tutti gli altri seguendo semplicemente la fisica elementare (quella che insegnano alle medie). Questo quanto ti dovevo e che non potrai nascondere con un click!

Giulio Barberini

L’eredità

Sono passati più di 50 anni dallo scatto della foto qui sopra, ho realizzato molte cose, qualche progetto, anche qualche sogno; mi sono sbizzarrito e divertito in tanti modi, abbracciando attività le più disparate, molte delle quali ho abbandonato, lasciato andare come le avevo incontrate.

Solo una mi segue da sempre, in certi anni come un’ombra, attualmente come presenza costante… il fermodellismo.
Certo all’inizio di questa avventura il termine era appena stato coniato e, sinceramente, nella sua attuale accezione, neanche era adattabile ai miei esperimenti di “plasticista, plasticaro, plasticante”.

Come sia nata la passione è un mistero, per me come per tanti altri; quando questo sia successo lo faccio risalire ad un periodo antecedente lo scatto, scatto fatto da mio padre con il quale condividevo pomeriggi ferroviari e successivamente pomeriggi di arte fotografica; il mio ricordo va ad una struttura della quale vedevo solo le zampe di appoggio, ma sopra ben sapevo che “c’erano i trenini”.

Neanche mio padre sa come sia nata la sua passione per i modelli in scala, ma possiamo fissare un momento, un primo input che fa riferimento ad una ferrovia completamente realizzata da suo cugino, ancor prima che fossero disponibili sul mercato sistemi e modelli degni di nota.

Questa sorta di ereditarietà sembra aver saltato una generazione, per cui i miei figli non sembrano essere toccati dal sacro fuoco “ferroviario”. Qualcuno, spero, prima o poi raccoglierà il testimone, ma anche così non fosse… nessun rimpianto.

Il piacere del viaggio in treno, l’odore della ferrovia, soprattutto quella di una volta, il creosoto delle traversine in legno, l’intreccio dei binari in stazione, le vecchie e scomode carrozze, il castano-isabella e il grigio nebbia e verde magnolia, le E.424, le E.636, gli ETR, le Corbellini  e le Centoporte stimolavano la mia fantasia e mi facevano sognare sui manuali dei tracciati, sui cataloghi. Per molto tempo ogni Natale, ogni compleanno erano occasioni per ricevere l’agognato regalo, un modello, un accessorio, o soldi per acquistarli.

Dal primo tracciato sopra una tavola di truciolare, ai successivi e traballanti ampliamenti, recuperando materiali, costruendo con quello che trovavo, fino ad oggi il percorso è stato bello e immaginifico, zeppo di errori e incongruenze, sempre io comunque pronto a rubare una idea, a fare e disfare, senza fermarsi, alzando sempre l’assicella. Questa è stato ed è per me il vero divertimento, appagamento e passione.

Il primo “plastico” era gestito da un programmatore per lavatrici, recuperato da uno smantellamento casalingo, il plastico successivo da un Olivetti M20 e da un hardware di collegamento fatto in casa, quello attuale… guardatevi  il sistema digitale, così non mi dilungo. Efficienze diverse, tempi diversi, stessa meraviglia ai miei occhi.

E quando succede che incontri un bimbo, più o meno della stessa età di quello in foto, che ha lo stesso sguardo meravigliato di fronte a un plastico, che non perde occasione per farsi accompagnare a vedere “i treni veri”, che desidera un plastico e solo quello come regalo… allora capisci che la passione non ha età e che l’eredità la si può donare con uno sguardo.

Ringrazio mio padre per avermi donato la sua, la mia famiglia per sopportare e supportare le mie stranezze, gli amici che mi hanno aiutato e incoraggiato quando avevo rinunciato e tutti coloro che mi sostengono e mi incoraggiano tutt’ora.

Giulio Cesare Barberini